Testi Critici
TRA FORMA E CONTENUTO
Carmine Sabbatella, artista contemporaneo ed eclettico, affronta un percorso di ricerca senza darsi limiti, spaziando, cioè, tra le nuove tecnologie, attraverso le quali crea vere e proprie performance virtuali futuribili, e le proprie origini culturali mediterranee, che aprono ad un mondo fatto di terra, pietra, e suggestioni percettive particolari. La materia, con la sua consistenza, le costruzioni volumetriche, l’intensa ricerca di un equilibrio tra forma e contenuto, producono opere che continuano a porci degli interrogativi esistenziali.
Rapporti umani, ad esempio, rappresenta un ciclo di lavori che sintetizza, in modo inequivocabile, il suo pensiero, in quel “rapporto”, appunto, di reciprocità tra artista e spettatore che è parte essenziale di una ideale relazione e di una spinta vitale.
Sabbatella, nel proprio percorso spazia tra ferro, pietra, vetro, stampa digitale e molti altri materiali. Ma questi rimangono media che gli permettono di esprimere un pensiero originale e del tutto personale.
La scultura, in particolare, comporta una riduzione, implica una scelta, specialmente quando l’artista si avventura coraggiosamente nel lavorare la pietra leccese, la materia che vive della interpretazione contemporanea di uno sguardo altro.
Per Sabbatella scolpire, misurarsi con la durezza della pietra o con materiali diversi, è una cosa naturale, poiché è padrone e autore fino in fondo di un progetto che si fa realtà.
In sintesi il suo lavoro tende all’essenzialità, essendo privo di qualsiasi eccesso o ridondanza. Le sue opere sono minimaliste, concettuali, nel vero senso della parola, proiettate nella dimensione di una produzione di senso e non certo orientate ad una visione del bello di tipo classicistico.
La storia delle avanguardie, soprattutto del primo Novecento, rilegge la scultura, ma la rilegge in modo proprio. Essa viene reinterpretata nella forma narrativa del materiale e del significato.
Dal 900 in poi, infatti, gli artisti lavorano per sottrazione formale e per una maggiore complessità concettuale. Alla narrazione fa seguito la sintesi, che, se in alcuni aveva avuto, prevalentemente, lo scopo di arrivare ad una essenzialità di matrice primitivistica, successivamente sposta l’attenzione verso un superamento globale del concetto di tridimensione.
Nel ventunesimo secolo Carmine Sabbatella ricongiunge il primordiale all’attuale in forme libere e decise.
Vittoria Coen, 2021
UNA SCULTURA, E NON SOLO
La scultura, fin dalle sue più arcaiche rappresentazioni, comporta una riduzione, cioé una scelta. Specialmente in casi come questi, in cui l'autore si é avventurato nel non facile compito di scolpire la pietra leccese, la materia quasi inerte ha subito una trasformazione che le ha dato un'altra vita, e, dunque, un'altra funzione.
La rappresentazione simbolica di uno stemma glorioso, quello della Guardia di Finanza, corpo la cui nascita risale alla seconda metá del XVIII secolo, nel Regno di Sardegna, è ricca di significati allegorici e di storia, a cominciare dal motto mutuato dall’antico etimo latino dal vate Gabriele D’Annunzio, "neanche spezzata retrocede", "nec recisa recedit" (letteralmente "Alle Fiamme Gialle, onore di Fiume, Nec Recisa Recedit, Fiume d’Italia, 1920"), motto divenuto ufficiale nel decennio successivo.
L’animale, maestoso, si erge circondato dai quattro elementi, a guardia e a difesa degli equilibri naturali e della tutela della societá, nel nome della regola "aurea".
Carmine Sabbatella, artista contemporaneo ed eclettico, ha affrontato un cammino faticoso e pieno di incognite, per trovare un equilibrio tra le pieghe della materia, la sua consistenza, le sfumature cromatiche e volumetriche, e il proprio progetto poetico di interpretazione figurata, nell’attenzione costante a mantenere intatti i valori simbolici che il soggetto richiede, ma nello stesso tempo nel concedersi quella libertá interpretativa che rende la scultura unica.
Per Sabbatella è stato un pò come ritornare alle antiche origini, scolpire davvero, misurarsi con la durezza della pietra per uscire dai canoni contemporanei che spesso definiscono lo scultore come un "progettista" che poi delega la sua idea alle sapienti mani di un artigiano, a cui viene negato il ruolo di creatore. Carmine Sabbatella riassume quindi in sè il compito di creare e realizzare, prerogativa rinascimentale.
Grazie alle nuove tecnologie ho avuto la possibilitá di seguire l’evolversi di questa esperienza anche a distanza, man mano che l’artista mi inviava gli sviluppi e i progressi del suo lavoro, con l’entusiasmo di una partecipazione autentica.
Del lavoro di Sabbatella avevo visto installazioni, opere minimaliste, concettuali nel vero senso della parola, apparentemente lontane da questo universo araldico, e ho visto questa sfida appassionarlo in un crescendo di soddisfazione e vera e propria fatica fisica.
L’opera è curata nei dettagli, le ali, il becco, gli artigli...nella parte frontale e in quelle laterali, la parte posteriore invece è volutamente abbozzata. Anche il concetto di "non finito" che dona fascino ed evoca "modernitá" in quella Pietá di Michelangelo che tutti conoscono, viene volutamente abbracciato da Sabbatella. La dimensione dell’opera supera i due metri di altezza, la scultura è potente, ha una fisicitá, cioè, importante.
La storia delle avanguardie, soprattutto del primo Novecento, rilegge la scultura monumentale ma la rilegge a modo suo. Viene reinterpretata nella forma narrativa del materiale e del significato.
Dalle avanguardie storiche del 900 in poi gli artisti lavorano per sottrazione formale e per una maggiore complessitá concettuale. Alla narrazione fa seguito la sintesi, che, se in alcuni aveva avuto prevalentemente lo scopo di arrivare ad una essenzialitá di matrice primitiva, successivamente si sposta l’attenzione verso un superamento globale del concetto di tridimensione.
Il grifone troneggia, seduto sulle zampe posteriori, alle sue spalle la montagna. L’animale sfida il tempo e lo spazio, presidia il luogo. I suoi occhi di ferro rappresentano la forza, una delle licenze poetiche che l’artista si è concesso.
Nella sfida, nel coraggio, vi è la morale di chi non indietreggia, ma, anzi, si espone in prima persona. E per fare un parallelo che può sembrare azzardato, anche l’artista si mette in gioco sfidando, a sua volta, le convenzioni, per raccontare se stesso attraverso la propria opera.
Come ho scritto all’inizio Sabbatella nel proprio percorso spazia tra ferro, pietra, vetro, stampa digitale e mille altri materiali. Raramente ho visto usare il medium tecnico proprio in funzione del senso che l’artista vuole dare al lavoro, e non viceversa, come accade troppo spesso.
Il suo viaggio a Milano, la sua ferma intenzione di rimanere nel luogo decisamente più importante per vivere le esperienze artistiche del contemporaneo, fanno parte di una personalitá dedicata alle proprie passioni. Le sue opere pubbliche, i lavori di ricerca, l’impegno sociale, sono parte integrante di un viaggio in cui arte e vita sono la stessa cosa.
Come lui stesso ha sostenuto in una intervista, per fare l’artista, anche oggi, bisogna sapere guardarsi indietro, ai protagonisti del passato, ed è in questo senso che egli affronta la sfida, per esempio, della rappresentazione dell’arte sacra, o la committenza per opere pubbliche, o, come in questo caso particolare, il confronto/dialogo, con uno dei simboli iconici della Guardia di Finanza.
Vittoria Coen, 2017
PAGINE DI FERRO
Il percorso espressivo predisposto da Sabbatella in questi anni di intensa attivitá di ricerca e di indagine ha visto proliferare aree tematiche diverse e fattori di scelta plastica che vanno dalla pietra al ferro alla stampa digitale e alla fotografia. In questo evento espositivo l?artista rinuncia alla complessitá antropologica del suo fare per inseguire un clima di rigore estremo, al cui interno tornare a esprimere proliferazione. Sabbatella opta per un lavoro filologico di scrittura, in cui la decorazione, il micro gesto dell?incisore si distribuiscono su pagine di ferro di dimensioni diverse ma in un processo in togliere, cioè che asporta perchè l?essenza immaginativa del pensiero affermi se stessa lentamente e solo attraverso una fruizione attenta. Si tratta di un processo espressivo minimo e concettualmente esasperante, condotto soprattutto la notte e in ogni pausa del giorno, per tornare a rappresentare il pensiero quotidiano e il progetto intellettuale, ancora con quella forza incisiva che è di Sabbatella nello scalpello sul marmo e del martello nella forgiatura di un ferro incandescente.
Andrea B. Del Guercio, 2009
IL SISTEMA ESPRESSIVO DI CARMINE SABBATELLA
Il sistema espressivo che Carmine Sabbatella ha progressivamente elaborato in questo ultimo biennio , può essere racchiuso intorno a tre momenti specifici: i materiali, la scrittura, la funzione d'uso. Dopo una prima fase sperimentale svolta a trecentosessanta gradi, il giovane artista ha potuto verificare la corretta relazione tra la centralità del dato di supporto, nel caso specifico il ferro , l'atto della comunicazione attraverso il segno grafico , ed una attenta e mirata funzione d'uso del manufatto finale , intendendo questo ultimo passaggio nel quadro di un'approccio antropologico dei processi di relazione tra l'opera ed il fruitore. In corretta corrispondenza con la storia contemporanea della scrittura che ha visto la significativa affermazione della superficie plastica quale luogo privilegiato della comunicazione, Sabbatella ha optato per un'attenta procedura espressiva determinata dai valori della superficie metallica; la lastra di ferro risulta predisposta nelle dimensioni attraverso una variabile controllabile dal processo di scrittura è quindi affrontata metodologicamente quale il foglio da disegno, la lavagna. La lastra industriale ricoperta da un fondo stabile è incisa nell'atto creativo del disegno; la forza del ferro, i suoi valori antichi vanno a rinforzare lo stato di tensione di una cultura e di una sensibilità contemporanea ed a favore di ciò l'artista collega anche una manipolazione plastico-ambientale. Il processo di incisione della lastra così predisposta si caratterizza attraverso un incisivo rapporto in accentuazione e sottolineatura, con occupazione ampia dello spazio ,insistita elaborazione delle forme iconiche e dei volumi astratto-decorativi, ogni lastra si offre pagina di comunicazione , perfettamente autoreferenziale nei contenuti e nella grafia ed è così che in ognuna, disgiunta dalla funzione tradizionale dell'incisione , si offre frammento poetico tratto da una raccolta iconografica in progress in grado di imporsi nello spazio con quei valori di reperto autentico e ricco di vitalità interiore. Nel dialogo tra ferro e scrittura, tra incisione e decorazione, si inserisce a tratti un'attenzione mirata verso la funzione d'uso cioè in occasioni in cui l'opera va ad interagire con le necessita sociali , ogni foglio metallico subisce in realtà la contaminazione dell'oggetto quotidiano, dello strumento di lavoro , del soggetto del nostro spazio quotidiano; il foglio di ferro vive un'ideale spostamento dallo spazio espositivo e della fruizione dell'arte verso l'infinita variabilità degli oggetti di design. Sabbatella si presenta nel sistema dell'arte contemporanea con un progetto artistico-culturale, rigorosamente caratterizzato dalle tre componenti tecnico espressive , che va ad interagire tra i diversi valori della fruizione estetica.
Andrea B. Del Guercio, 2005
VISIBLE LANGUAGE DI SABBATELLA
Sculture in pietra, lastre con incisioni su ferro, vetrate per chiese, affreschi e altre soluzioni artistiche sono siglate dall' inconfondibile indice grafico di Carmine Sabbatella: la stilizzazione del suo pollice, delle dita della mano che dall'alba dei tempi registra e trascrive il moto perpetuo delle idee vagando intorno alla ricerca della volontà di rappresentazione delle cose, del sacro, del tempo e dello spazio.
Sabbatella è uno sperimentatore di materiali dal segno costante che non si inserisce in nessun movimento, scuola di pensiero o gruppo artistico, ma procede solitario elaborando un particolarissimo linguaggio arcaico, postinformale e post-rupestre, intimista ed espressivo caratterizzato da forme iconiche autoreferenziali immerse nel magico mondo della scrittura di emozioni, istinti e sensazioni, utilizzando codici tratti da alfabeti primitivi fuori dal tempo.
Sabbatella crea forme – caratteri tipografici- coniando nuovi indici di un alfabeto indecifrabile magico-primario, emerso da stratificazioni e contaminazioni culturali, riproducendolo su lastre di ferro, nella pietra, sulle superfici di qualsiasi materiale, è riconoscibile per segni sintetici germinanti, evolutivi che rimandano a culture affascinanti perché ancora sconosciute.
Il suo procedere per composizioni di indici grafici di primari dipende dai materiali scelti e dal luogo in cui si collocano, ogni volta è un alchimia del mito che intreccia prospettive simboliche verosimili e questi segni, dal significato misterioso, ci affascinano per la loro indecifrabilità. Per Sabbatella è opportuno parlare di indici, più che di segni grafici poiché, il pollice e l'indice che si congiungono nel gesto dello scrivere, del tracciare su una superficie segni, stilizzati e organizzati in forme germinanti: sono le sigle del suo linguaggio che riflette sull'archeologia del segno.
Lo scultore s'interroga sul rapporto tra la memoria di una cultura orale perduta con l'invenzione della stampa e una scrittura simbolica, con l'obiettivo di visualizzare un codice grafico originalissimo, soffermandosi sull'importanza del gesto che contiene modi e mondi per raccontare il silenzio di un tempo eterno.
La mano, le dita, il gesto sono strumenti di comunicazione che precedono la scrittura, sono agenti del fare, del creare cose materiali e dimensioni immateriali cariche di simboli, che Sabbattella trasforma in codici di una comunicazione non verbale, iconizzando l'aspetto gestuale racchiudendo un mondo arcaico nei materiali scelti. Affidare alla pietra, al ferro, all'affresco la funzione di comunicare le potenzialità di un linguaggio orale elaborato, con geroglifici dell'invisibile, non è impresa semplice; lo aiutano la scelta di materiali "antichi " scelti che avvalorano i suoi codici specifici e rimandano alle arti rupestri, simboliche, in cui hanno preso forma le forze primarie delle epoche precristiane.
La sua personale "tra-scrittura" per indici di una oralità che si fa segno, parola, cosa nell'operare artistico non racconta nulla di specifico, ma concentra nella potenzialità della forma iconica –sintetica il suo valore creativo e simbolico. Scrive Heiddeger :" La realità, nell'opera, è, palesemente, la materia di cui essa è fatta " ( L'origine dell'opera d'arte, 2000, p.23).
E tale principio è rispettato da Sabbatella che iscrive nella materia la memoria di segno grafico autoreferenziale.
Le parole sono radicate nel discorso orale, la scrittura le imprigiona, ma il gesto, come puro atto grafico le libera dal suo significato, dal pericolo di visualizzazioni e contestualizzazioni culturali , evidenziandone solo il suo valore estetico -emozionale.
Per capire il linguaggio di Sabbatella è necessario ripensare alla tradizione orale, al valore del fare, considerando il gesto punto di partenza della scultura intesa come una eredità di forme, generi e stili possibili aperti a letture e trascrizioni variabili di un sistema di simulazione iconica primaria, complesso, misterioso e traccia arcaica dell'espressione scritta. Queste sue alfabetizzazioni informali rappresentano un mondo invisibile, conoscibile solo mediate un processo iconoclasta della forma, un astrazione estrema di codici sinuosi creata puntando il dito sulla traccia, alle origini dell'impronta del pollice che incide la materia. Per Adorno, l'archetipo del sublime, unica idea dell'estetica antica che non E' mai tramontata nell'arte moderna è il nero, e sul nero opera anche Sabbatella.
La sua visualizzazione dell'impronta si fa segno artistico e si organizza in un mosaico di codici germinanti, organizzati ma dissociati dalle parole utilizzati come presupposti formali per scardinare i processi del nostro linguaggio. In: Der Satz vom Grund , Haidegger parla di un vedere che è in qualche modo anche ascolto, portando la nostra sensibilità dalla ovvietà dei sensi all'essenzialità di percepire altro. Sabbatella elabora esecuzioni e stilizzazioni grafiche che sembrano interpretazioni , organizzate dell'automatismo psichico teorizzato nel Primo manifesto del Surrealismo di André Breton ( 1924), in cui si mette in evidenza l'importanza di una scrittura inconscia con la quale si può esprimere il funzionamento del pensiero, ma anche indagando i processi cognitivi in assenza di qualsiasi censura o controllo esercitato dalla ragione e della morale. Masson nei suoi disegni automatici trasferisce impulsi, desideri trascrivendo situazioni oniriche in un azione veloce caratterizzata da un flusso di linee e gesti esplosivi imprevedibili, Sabbatella ordina, stratifica , incastra decontestualizza e razionalizza la trascrizione automatica della psiche, concentrandosi, nel fare, sulla stilizzazione delle dita come una sintesi formale tra la dimensione del sogno e della conoscenza, nel fare, ricongiungendo percezione e pensiero.
Dagli anni novanta lo scultore ha approfondito, studiato, elaborato e assimilato i valori plastici di codici primitivi, che rimandano anche alle culture tribali di popolazioni arcaiche che sarebbero piaciute moltissimo a Picasso, ma anche a Pollock.
La sua passione profonda per l'arte primitiva , i materiali poveri e la ruvidezza del gesto, la curiosità del fare per elaborare una raffinata sintesi grafica, traccia e incide il Silenzio del tempo nella materia, qualunque essa sia immergendo lo spettatore in un altrove sinestetico, in cui tutti i sensi , codici e indici trascrivono un nuovo spazio da ricreare nel nostro sguardo.
Jacqueline Ceresoli, 2007
AL GIUSTO TEMPO CHE DECLINIAMO AL LUOGO CHE CI OSPITA, Intervista a Chicco Sabbatella, uno tra i più rinomati artisti italiani in Europa e a oggi padre del progetto (M)covida insieme ai maestri Andrea Santarsiere e Giuseppe Cacciola.
Un linguaggio che consente un’espressione universalmente comprensibile, che, talvolta, può rimandare a concetti divinamente primordiali o essere salvifica in periodi difficili. L’arte: un mondo talmente ampio di cui l’uomo non può farne a meno, soprattutto nel cibarsene con gli occhi o creandola con tutti i sensi. Cosa possa essere considerato arte e cosa no, oltre che un tema estesamente dibattuto da secoli in ambito accademico, è diventato nella modernità argomento di discussioni trasversali e feconde anche tra non addetti e persone prive di conoscenze e studi specifici. La definizione, dunque, è ancora un dibattito aperto. Possiamo, però, essere d’accordo su un punto: è arte ciò che ha bisogno di dire qualcosa attraverso strumenti e linguaggi extraordinari.
In Italia vantiamo ancora numerosi artisti che hanno qualcosa da dire dopo aver effettuato ricerche, dopo aver tolto, limato, osservato il mondo da un altro punto di vista, quello che ad altri può sfuggire.
È il caso di Carmine Sabbatella, in arte Chicco Sabbatella.
Carmine Chicco Sabbatella nato nel 1982 a Polla (SA), vive e lavora tra Milano e Sala Consilina. Si è laureato con lode all’Accademia di Belle Arti di Brera in Arti Visive sotto la guida del Maestro Stefano Pizzi e specializzato nella stessa in Arte e Antropologia del Sacro Contemporaneo con il Critico Andrea B. Del Guercio ed il Teologo Mons. Pierangelo Sequeri dove dal 2003 al 2008 è tutor e dal 2009 al 2014 è Image Designer per l’ufficio mostre. Il percorso espressivo predisposto da Sabbatella in questi anni di intensa attività di ricerca e di indagine ha visto proliferare aree tematiche diverse e fattori di scelta plastica che vanno dalla pietra al ferro alla stampa digitale e alla fotografia. Sabbatella si presenta nel sistema dell’arte contemporanea con un progetto artistico-culturale, rigorosamente caratterizzato dalle tre componenti tecnico espressive, che va ad interagire tra i diversi valori della fruizione estetica. Sabbatella ha esposto in numerosi musei Italiani e all’estero, nel 2011 vince il 1° premio Ricoh Italia - concorso nazionale “Y PUB ART”, promosso dal comune di Vimodrone e patrocinato dalla provincia di Milano, per l’opera “Reperto per un fiore contemporaneo” installata all’entrata della città, nello stesso anno nella Chiesa di Santa Maria Maggiore a Mirabella Eclano (Av) viene collocata una sua agoincisione ”lettera alla madonna” nel progetto di riqualificazione cromatica a cura della IACC. Nel 2012 vince il premio Illy caffè e la campagna pubblicitaria Tendercapital Italia, nel 2013 vince il 1° premio del Simposio Internazionale “i giorni della pietra “ Padula (Sa). Selezionato dalla Tecno ad interpretare "Vara" di Luca Scacchetti, Fuori Salone 2014 a Milano ed espone "l’ultima cena" personale a cura di Andrea B. Del Guercio, spazio OffBrera. Selezionato per il PDA “Parco dell’Arte” Idroscalo - Milano expo 2015 e partecipa a FREEgoriferi, Liberi di nutrirsi d’arte, progetto A.R.T. (Advanced Refrigeration Technology) a Venezia, 2015. Il suo lavoro è presente in the Barrique Museum Orestiadi, Trapani 2015, nel 2016 "Passaggio tra elementi" personale a cura del Comune di Inveruno (MI) e della Cooperativa Raccolto, nel 2107 realizza il monumento per la GDF di Piacenza in pietra leccese e ferro. Sabbatella ha presentato due personali sulla sua nuova tecnica dell’agoincisione a Milano nel 2009 "Pagine di ferro" presso Galleria Accademia Contemporanea a cura di Andrea B. Del Guercio e nel 2012 “Agoincisione” nello spazio CityArt di Milano a cura di Jacqueline Ceresoli. Hanno scritto di lui : Andrea B. Del Guercio ; Pierangelo Sequeri ; Jacqueline Ceresoli ; Rossana Bossaglia ; Vittoria Coen. Attualmente collabora con l’Accademia di Belle Arti di Brera Milano ed è Direttore Artistico per il magazine Excellence Fine Art, segnalato come Young Blood per l’annuario dei giovani talenti italiani premiati nel mondo.
Da buon indagatore Chicco non si ferma e offre al mondo un nuovo modo, semplice e accessibile. Arriva in maniera più semplice nel quotidiano: entrando ne il social. Lo naviga per città di Italia riportando il bel Paese a ritmi psichedelici e di matrice pop, servendosi delle stories di Instagram, decorandole con immagini animate di tipo GIF (GIF -Graphics Interchange Format- è un formato per immagini digitali di tipo bitmap che permette la visualizzazione massima di soli 256 colori) e arricchendole con musiche inedite firmate da Andrea Santarsiere (Ha collaborato con i maggiori Enti Lirico-Sinfonici Nazionali tra cui il Teatro San Carlo di Napoli, il Teatro dell’Opera di Roma e il Teatro alla Scala di Milano. È stato invitato inoltre a collaborare con la Mahler Chamber Orchestra, London Philarmonic Orchestra e la Quatar Philarmonic Orchestra.Tiene regolarmente corsi e masterclasses a livello nazionale.Dal 2009 è percussionista dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma). Si aggiunga la firma anche del maestro Giuseppe Cacciola (percussionista del Teatro alla Scala e della Filarmonica dal 1985 e componente stabile dell’ensemble scaligero, trio Zanchini, Danilo Rossi Quartet e i percussionisti della Scala. Ha suonato sotto la direzione dei più grandi direttori del mondo Abbado, Muti, Maazel, Bernstein. Come batterista è stato scelto per il tour mondiale di West Side Story). Questi preziosi ingredienti figli di un’arte visiva che sa adattarsi in maniera divertente e rispettosa al linguaggio social prende il nome di (M)Covida
1.Respiri arte fin da piccolo. Hai modellato con le mani sculture di qualsiasi dimensione e hai dato respiro a volti, Madonne, cerchi e non solo con l’agoincinsione restituendo la dignità alle tue radici, manipolando la materia o meglio, pietre, nella terra, nel ferro e nei cuori di Sala Consilina. Sia nella tua terra natia, il Vallo di Diano, che in quella in cui vivi e che, nella formazione, ti ha adottato, la Lombardia, hai voluto lasciare sempre una traccia di te. Cosa hai voluto comunicare a queste terre?
La volontà rimane quella del testimoniare e dare tributo, una sintetica riconoscenza mai finita, l’Italia tutta; rimane la Donna più bella da corteggiare e tutelare, osservo i luoghi cogliendo spunti, per poi tornare a ringraziare.
2.E dalle terre ripartiamo, dal senso di solitudine che hanno vissuto per lungo periodo corale, nuovo alla nostra era. Le abbiamo viste vuote dai balconi, dai televisori colmi di immagini in diretta. Un rumoroso silenzio che esattamente un anno fa ha letteralmente cambiato il nostro percepire. Come hai osservato questo mutamento? Cosa stava succedendo in te?
Il vuoto quando intenso è devastante, ti limita la percezione…ma poi muta, la sensazione si trasforma in soluzioni diverse, ti riporta dove non ci soffermiamo mai, al giusto tempo che decliniamo al luogo che ci ospita, il nostro passaggio sarà più vuoto se meno attento.
3.L’artista crea dalla distruzione perché ha qualcosa da ricordare e da dire, anche questo può essere una definizione dell’artigiano dell’anima. Quale è stata, per l’ennesima volta, la tua missione?
Vivere l’arte mi mette in pace con la mia Anima, che gelosa e offesa si limita a lasciare il passo all’arte, perché è di comune accordo che abbiamo deciso di caricarcene, creare ad uso dell’anima per essere limpidi nel segno.
4.(M)covida: un viaggio per un’Italia che ha da valorizzare le proprie bellezze. E la bellezza degli intrecci in questo progetto, come l’unione con i maestri Andrea Santarsiere e Giuseppe Cacciola entrambi percussionisti, dunque, entrambi rianimatori di animi a partire dal suono più tribale e antico: la terra. Il concetto ritorna. Come è stata la commistione tra voi?
La mescolanza tra le arti diviene da se, là dove i ritmi abbracciano le passioni, le melodie visive e non si completano, è questo quello che credo sia successo, meglio definita come alchimia delle arti, continua ricerca del bello e del fare ritmo.
5.Quali città sono state valorizzate, per adesso e dove possiamo vedere i video?
Il progetto nasce dalla primogenita Piacenza, città che mi ospitava nel periodo pandemico iniziale, poi Venezia, Napoli, Milano e oggi Roma…
I video sono una serie su IGTV dal nome (M)CoviDa Italia, sul profilo di Instagram @Sabbatella_Carmine_Chicco.
6.Quanto è importante oggi educare la solitudine?
…essenziale è educare l’autonomia all’essere solo, ci permetterà di adoperare quel tempo per curarci nel bello, non escluderlo il tempo…ma rigenerandolo in arte.
Grazie.
Maria Francesca Stancapiano per unfolding Roma, 2019
IN ARTE CHICCO
L’arte come linguaggio o come ispirazione?
L’arte è linguaggio, tanto quanto la parola. L’idea di fare arte per un fruitore è la linfa che ogni autore rincorre, alla ricerca di un’emozione da trasmettere ad osservatori disattenti ma curiosi che nell’idea del non capisco, non so, trovano un riferimento personale, facendo propria un’esperienza lontana dalla retorica del sapere ma vicina alla semplicità imminente della comunicazione.
Come è iniziato il tuo percorso professionale?
L’arte è sempre stata un’emozione concreta, una presenza costante nella mia famiglia. Le prime sculture prendono forma nel laboratorio di mio padre, maestro del ferro e lavoratore instancabile, il mio primo maestro di vita. Poi arriva Milano e l’Accademia di Brera, tasselli di un percorso intenso, lungo quasi un ventennio, dove la ricerca è divenuta indagine e confronto.
Dal sogno alla realtà. Un viaggio nel tempo dal primo istante di consapevolezza di ciò che volevi essere.
“Se puoi sognarlo, puoi farlo”: Walt Disney aveva ragione. Sono un sognatore e la vita, a volte, mi fa sognare ad occhi aperti allontanandomi dalla realtà. Questo gioco di equilibri mi tiene in un limbo colorato che fa da filtro al grigiore della monotonia della vita. Ho sempre desiderato una vita colorata, e grazie all’arte è così.
La tua arte spazia su vari media. Quale strumento è più vicino alla tua anima?
Fare arte come ricerca comporta una selezione: quando provo a dire qualcosa, quasi sempre il mio lavoro è quello di togliere, semplificare, sia nella forma che nel concetto. Che sia il lavoro certosino di un’agoincisione o un monolite in pietra, l’idea ultima rimane quella del compromesso che esiste tra le tre componenti: l’autore, l’opera e il fruitore. Se tutte le parti percepiranno una propria autonomia di giudizio, l’opera avrà una sua vita, capace nel tempo di raccontare nuovamente una storia, come oggi fanno le grandi opere che abbiamo ereditato, libri su tela o scolpiti nel marmo a testimonianza di linguaggi ancora attuali e in evoluzione attraverso le nuove tecnologie.
Hai prodotto opere importanti lavorando la materia. Quanto è importante per te l’idea di trasformare una visione in un’opera d’arte?
La materia, i volumi, le cose grandi mi affascinano. Progettare e sviluppare un’idea ha solo un fine: la realizzazione, e quando questo accade, quando si ha la voglia di accarezzare la materia, di farla propria, si compie e comincia il gioco. Creare opere pubbliche non è mai fine a se stesso, bisogna tenere conto di chi vivrà i luoghi, del luogo stesso. L’opera pubblica spesso diventa identitaria, quindi si ha un carico di responsabilità che è una piacevole sfida in costante ripetizione.
Quanto ha influito la tua terra sulla tua formazione artistica e sulle scelte di linguaggio?
Sono della provincia di Salerno, anzi sono Salese, quasi Etrusco. L’identità della mia terra è riconducibile in tanti dei miei lavori: la mia terra è tellurica, forte e allegra, sensazioni ben visibili nel mio fare. I caratteri identitari sono cangianti, le prossime contaminazioni accresceranno il mio patrimonio fortificandolo, e io cercherò di accumularle e tradurle in opere nuove.
Una nuova esperienza: una rubrica su Excellence Magazine, ci racconti il progetto e le tue aspettative?
La divulgazione e la ricerca artistica sono il punto chiave per il mio percorso d’arte, esperienze come questa porteranno nuovo ossigeno.
Ho l’abitudine di lavorare in maniera stacanovista proprio per le soddisfazioni che il mio lavoro porta, la gratitudine dell’arte è la ricompensa più bella: vivere d’arte e sentirsi liberi di raccontare la propria arte, farsi bandiera e promotore di messaggi. In questo progetto voglio utilizzare l’arte e la comunicazione d’immagine come mantra di riflessione sui temi sociali, utilizzando e sfruttando la curiosità dell’uomo, quasi sempre distratto dalla vita e dai suoi tagli, voglio strappare un sorriso e un breve momento di riflessione leggera parlando d’arte e, perché no, di #inartechicco, il nome che ho scelto per la rubrica.
Emanuela Zini per Excellence, 2018
MATRICI
Non si può affrontare la lettura dell' ancor giovane opera di Carmine Sabbatella senza tener conto della precipua manualità che la caratterizza.Talento che trova archetipi nella tradizione familiare,il padre è un maestro artigiano specializzato nella lavorazione del ferro,e pian piano affinato con gli studi accademici. Ed è proprio attraverso una personalissima rivisitazione dei metalli e del modo di lavorarli che l'espressività di Chicco inizia a trovare un'autonomia di linguaggio che estende via via anche ad altri materiali. Anche l'iconografia che caratterizza buona parte della sua produzione ,e di volta in volta si fa soggetto o decoro, prende spunto dalle mani e dai loro movimenti dando origine a una sorta di alfabeto segnico che in corso d'opera sviluppa nuove e vieppiù interessanti scrittografie. Il riscontro di ciò lo troviamo principalmente nei disegni e nelle incisioni le cui matrici sono spesso utilizzate dal nostro quale elemento decorativo a supporto di oggetti altri. penso per esempio alle sedute, agli amboni o alle copertine dei libri d'artista senza tralasciare naturalmente le sculture in pietra in cui la modellazione si tramuta in impronta,indizio per giungere ad inaspettati significanti simbolici. Non potrebbe,del resto, che essere altrimenti in quanto queste pietre provengono dal luogo di origine di Carmine,l'entroterra salernitano,e in tempi remoti erano già state sbozzate e plasmate per differenti funzioni:gradini,lastricati,basamenti.Osservandole ora ci paiono come preziosi reperti appena emersi da uno scavo ma segnati da una fisiognomica di vibrante contemporaneità. La stessa che non a caso anima tutta una serie di lastre a soggetto sacrale in cui l'icona primaria viene avvolta,circondata o attraversata dalla texture falangica.
Anche in differenti e fragili campi applicativi quali il vetro e la ceramica si riscontrano risultati apprezzabilissimi in cui il gioco d'ombre complica e incuriosisce la percezione dell'immagine mantenendone al contempo l'alta qualità visiva. Così come nelle ultime pitture ,dedicate agli agglomerati urbani,in cui la presenza della mano diviene indicazione,orientamento,cenno.
Quella di Carmine,allora, si rivela essere una poetica in formazione che adegua i propri saperi a svariate ricerche e committenze ponendosi nella scia degli attuali percorsi produttivi, in perenne contaminazione con il design.
Stefano Pizzi, 2008
BISOGNA BATTERE IL FERRO FINCHÉ È CALDO!
Che relazione c’è tra una lastra metallica, simile a una “pagina” di ferro incisa con segni brulicanti e Carmine Sabbatella ?
La risposta è semplice, c’è la sua storia trascritta con segni stilizzati, forme germinanti, dinamiche ed evolutive che tracciano la sua identità. Il suo essere cresciuto a pane e ferro nella “bottega” del padre, fabbro e artigiano da cui ha ereditato il valore del manufatto e appreso il segreto del fare: una pratica che nel tempo si è trasformata in un linguaggio inconfondibile. Lo scultore, salernitano d’origine e milanese d’adozione si definisce “alchimista dell’arte”, abile nel rielaborare la mitologia, la storia, restando in bilico tra magico e primario. A Milano ha frequentato l’Accademia di Brera e ha sperimentato diversi linguaggi e materiali, come il ferro, le lastre metalliche, la pietra, il marmo: tutti materiali della Terra.
Lavora per se in maniera frenetica e convulsiva e su commissione; è tra i pochi adepti dell’arte sacra, paradossalmente impraticabile nel XXI secolo, in cui l’umanità ha perduto il valore di una ricerca spirituale, la tensione verso l’assoluto; tema che ha nutrito l’arte dal Medioevo fino all’età dei Lumi, quando la ragione si sostituisce a Dio.
Lo scultore si distingue per la forza virile delle sue mani, che hanno toccato, piegato, inciso e graffiato di tutto, per il suo corpo possente e soprattutto per un codice autoreferenziale inciso su lastre metalliche e altre superfici. Sabbatella ha realizzato vetrate per l e chiese, sculture urbane, affreschi pubblici e privati e sbarca il lunario svolgendo diverse committenze e facendo il grafico digitale. E’ un artista rinascimentale, figlio di una cultura umanista, che ha vissuto in una Terra tellurica, che trasuda di segni arcaici e testimonianze di civiltà preistoriche. Non c’è materiale che lo inibisca o che possa limitare il suo desiderio di lasciare un segno ovunque: l’impronta del suo pollice destro e un groviglio stilizzato delle dita della sua mano. Questi segni brulicanti sono l’inconfondibile cifra del suo linguaggio arcaico, post-rupestre, in cui la figurazione s’intreccia con l’astrazione, il mito con la storia e l’iconografia sacra con la realtà. Sabbatella nello spazio di City Art a Milano presenta 11 incisioni su lastre di metallo. Poteva raccontare il suo polimorfismo eclettico, mostrando un vasto repertorio di opere realizzate in oltre dieci anni di attività di lavoro, invece ha scelto l’essenziale, è andato per sottrazione, si è semplificato, mostrando il suo DNA formale: l’incisione su lastre metalliche e in questa forma d’arte non ha rivali. Di Sabbatella, senza esagerare, potremmo dire che ha un rapporto quasi erotico con il ferro, gli piace piegarlo a suo piacimento, domarlo e mapparlo con segni che incidono gesti decisi. Il ferro è un materiale vivo, è caldo o freddo a seconda delle condizioni ambientali in cui si trova, è duttile e nell’alchimia è associato a Marte.
Per Sabbatella il ferro è materia-corpo, pelle, pergamena, ceppo miliare, foglio di un diario mai scritto sul quale incidere codici–icone di un alfabeto indecifrabile, misterioso di forme antropomorfiche emerso da stratificazioni e contaminazioni culturali e immerse in un magma fluido. La sua scrittura segnica trascrive automaticamente sensazioni, istinti, pulsioni, emozioni: la vita. Materiale, gesto, segno, sono gli elementi portanti del suo codice antropomorfico, il tema è un presuppo sto poetico; l’importante è lasciare una traccia di una scrittura simbolica, come testimonianza di esistenza; un’impronta della sua pulsione di vita. Se graffia, incide, manipola un materiale, Sabbatella vive. fuori dal gesto, dal fare cose che non esistono in natura, l’artista si nega. La sua originalissima comunicazione non verbale, ma figurativa simbolica, iconizza l’aspetto gestuale e trascrive geroglifici di una ricerca invisibile del senso alle cose. Lo scultore s’iscrive nella materia, come memoria del suo vissuto, nell’attimo in cui il gesto d’incidere il ferro si fa segno autoreferenziale. Il gesto è una comunicazione universale che s’iscrive nella tradizione orale primitiva, capace di superare le barriere linguistiche e culturali.
La sua impronta contiene la potenzialità primitiva di espressione, che sulla materia, diventa atto grafico, linguaggio dal valore estetico ed emozionale, fondendo decorazione e simbolismo. Osserviamo queste incisioni d alla forza arcaica e insieme visualizzeremo una scrittura dinamica, inconscia, che indaga suoi processi cognitivi in assenza di qualsiasi controllo, censura esercitati dalla ragione o dalla morale, proprio come accade quando due corpi si amano, all’apice del piacere l’io si perde nell’altro, con la tensione di esorcizzare la morte nell’istinto di vita. E se così è per l’artista, l’augurio per noi è che batta il ferro finché è caldo!
Jacqueline Ceresoli, 2012
CARMINE SABBATELLA: ALCHEMICO DELL’ARTE
maggio 3rd, 2011 | Published in Arte Design Moda
Chicco artigiano della creatività noto per lastre con incisioni su ferro, vetrate per le chiese, sculture di grandi dimensioni, affreschi e altre opere siglate da un segno inconfondibile: l’impronta del suo pollice, delle dita della mano che dall’alba dei tempi crea forme che plasmano idee, simboli, metafore in bilico tra la realtà e l’immaginazione
Carmine Sabbatella scultore e incisore, in arte Chicco, da anni sperimenti tecniche tradizionali basate sulla manualità, ma come ti definisci e come hai fuso questi diversi linguaggi ?
Mi definisco un alchemico dell’arte, creo secondo la mia immaginazione, ispirandomi alla memoria. Amo l’evoluzione umana, l’antropologia che ha segnato i tempi e l’uomo.
Utilizzo materiali di diverso genere, principalmente lastre di metallo che scavo per cercare dentro delle storie. Hanno segnato la mia carriera le pietre del Vallo di Diano da dove provengo, che ho usato per tracciare volti capaci di raccontare vite e tempi passati. E’ la pietra che si presta a contenere e rafforzare la natura stessa. Gli artisti dovrebbero ringraziare la natura per averci regalato pietre e metalli che possiamo plasmare e trasformare… io mi sento grato di questa sostanza fertile che si trasforma o rinasce a vita nuova dalle nostre mani.
Perché hai scelto l’incisione e ti sei specializzato nell’arte sacra?
L’incisione è la tecnica che in maniera concreta ti avvicina alla materia. Lavorando il metallo nella bottega della mia famiglia, graffiando alcune lastre sin da bambino ho imparato a creare… se ne ricavava un negativo che sembrava partorito dal metallo. E più graffiavo, più scoprivo la luce dell’argento del ferro vivo, un luccichio che si fa strada tra il buio del colore moro della lastra, nell’incessante lavoro del “togliere”, ma senza ripensamenti, come accade sulla pietra. Il caso ha influenzato molto il mio percorso, fatti accaduti nella mia vita e in modo spontaneo, poi l’indirizzo accademico sul sacro contemporaneo, scoperto dopo l’arrivo a Milano quando ero convinto di scegliere la strada del design… Considero ardua la strada per fare intendere che non vi è distinzione tra arte sacra e arte in generale, che si tratti di un’icona sacra o di un volto collegato alla società o alla politica che diventa icona il senso dell’opera non cambia, è il senso del messaggio che rimane, quello puro dell’autore che lancia un tema e lascia libera interpretazione a chi guarda e fruisce l’opera.
L’arte sacra è sostenibile in questo momento di crisi d’identità dell’arte contemporanea ingabbiata nelle logiche di mercato ? Perché?
La ricerca per il sacro nell’arte nasce anche dalla voglia di raccontarsi. Il sacro è fuori da ogni canale commerciale, le gallerie contemporanee disdegnano un certo tipo di immagine, puntano su quello ciò che attira al momento.
La ricerca intellettuale si riduce ad una nicchia di pochi “martiri” che credono nell’idea del “fare arte” aldilà di quella committenza commerciale e continuano a raccontare qualcosa. E’ difficile scontrarsi con questa idea, eppure è questo per me il fare arte. Oggi il mercato ha preso le redini, con una chiave di lettura del tutto personale, togliendo spesso il compito della selezione a persone qualificate come critici storici e letterari. Anche questi oramai tendono a difendersi in questo sistema che determina il valore commerciale, dimenticando la raffinatezza artistica e il suo incerto futuro.
Hai donato un’opera alla chiesa di Santa Maria Maggiore di Mirabella Eclano, dopo il suo recente restauro perché e come hai svolto il tema sacro ?
L’opera “Lettera alla Madonna” è una rivisitazione e interpretazione del patrimonio iconografico cristiano, forse più specificatamente della devozione mariana. Ho deciso di donare la mia opera perché l’unico modo di permettere il suo senso era la collocazione in una “casa”, la sua casa migliore è una chiesa intitolata alla Madonna stessa. La morbidezza della tradizione tardo quattrocentesca mi ha ispirato, la ricerca del materiale e gli strumenti che ho utilizzato invece ne determinano la sua contemporaneità. La lastra di ferro sostituisce la tela e la pittura ad olio, per volontà concettuale di sottolineare, nella forza e nel peso del materiale, la persistenza nel tempo di un’esperienza umana e divina. Poi l’attimo catturato è un momento di rigore e concentrazione, perché la stessa fruizione sia partecipata, ma attenta.
La scultura integrata all’urbanistica, all’architettura, alla committenza ecclesiastica trova una sua collocazione ideale , ma non accade sempre , ti senti abbandonato a te stesso dagli enti pubblici?
Voglio essere ottimista. Credo che una buona divulgazione dell’arte e dei suoi principi possano aiutare a sensibilizzare le aziende e le grandi infrastrutture ad una cultura dell’arte come risorsa economica futura. Da sempre l’arte arreda le nostre strade, case, giardini e chiese. Non si può dare un taglio a tutto questo, o meglio non si può continuare a fare peggio! Bisognerebbe prendere esempio da paesi europei come la Germania o la Svizzera, che investono sul contemporaneo, guardando avanti, credendo nei loro giovani artisti, ma soprattutto non permettendo, come accade in Italia, la migrazione continua in cerca di fortuna altrove.
Riesci a vivere del tuo lavoro come?
Vivo del mio lavoro, ma grazie alle mille cose che girano attorno a questo mondo! Negli anni ho imparato anche a fotografare, ad usare gli strumenti grafici, a gestire e organizzare eventi artistici. Tutto ciò mi ha permesso di fare della mia “ricerca-arte”, un vero lavoro. Anche se le committenze private sono e restano il guadagno concreto dell’artista di oggi.
Che materiali e tecniche utilizzi ?
Materiali che si trovano in natura, ma li uso in maniera diversa, con la mia linea grafica. Il ferro lo forgio, lo incido, lo piego. La lavorazione poi ne determina il carattere decorativo o la funzione d’uso. Il lavoro sulle lastre sembra tanto complesso, ma alla base l’atto è persino arcaico: si tratta di graffiare, di togliere, asportare il plus, lasciando emergere il segno.
Le lastre di ferro pre-verniciate sono fredde come la pietra, l’altro materiale vivo da me prediletto che incido con vecchi metodi.
Nella grafica invece adopero “citazioni di frammento”, parti di mie incisioni moltiplicate in maniera modulare, creo diverse texture che poi trasferisco sulla tela, poi continuo nel processo di lavorazione con l’aggiunta del colore e del segno.
Il tuo codice identitario è l’impronta del tuo dito che applichi a tutte le opere cosa significa ?
Le dita unendosi si fanno riconoscere come trama delle mie opere.
Sono un rimando al concetto di massa, di persone…l’insieme delle forme crea un’entità forte che diventa uno sfondo o un riempimento per i miei lavori su tela: copro con il colore ad olio le aree che voglio, lasciando in luce le parti che poi saranno la forma e l’anima del soggetti.
Da circa 13 anni uso la citazione del frammento, la stilizzazione delle dita della mano: esse creano un’entità articolata, un’atmosfera, ma sto ancora lavorando su questa linea, fra il mettere colore per togliere la trama e il processo inverso, come nell’ago-incisione delle lastre, dove porto via anziché aggiungere.
Sei salernitano d’origine e vivi e lavori a Milano, ma cosa stai facendo nella tua terra per sensibilizzare gli enti pubblici a riqualificare il loro territorio con l’arte?
Vengo da un territorio pieno di storia e la mia terra per me ha un valore sacro. Spero di riuscire nel tempo a valorizzare con il mio lavoro anche il territorio. Molte delle mie opere sono dedicate a questi luoghi, portano anche il loro nome. Ci sono dei progetti work in progress che spero presto possano concretizzarsi con la collaborazione degli enti, che a volte decidono lentamente o sono incerte e non concretizzano fino in fondo.
Qual’è il tuo sogno?
Il mio sogno è diventare un’Artista, quello con la A maiuscola, che viene riconosciuto non per il solo nome, ma perché si apprezza il senso del suo fare arte e le emozioni che questo suscita.
Chi sono i tuoi maestri e perché non hai mai abbandonato la figurazione?
Il mio maestro è Stefano Pizzi che mi ha lasciato esplorare da solo e fare ricerca senza vincoli nella mia scuola d’arte, cosa che non accade troppo spesso nelle accademie. Per la parte teorica mi hanno guidato Andrea Del Guercio e Pierangelo Sequeri, che invece mi hanno indicato pensieri e concetti su cui riflettere. Poi ci sono state altre persone che mi hanno fatto crescere e capire grazie alle loro “storie d’artista”, come Antonio Paradiso, Angela Occhipinti o Renata Boero. Ma poi ci sono anche “altri” artisti che mi hanno sempre dato qualcosa..parlo stavolta di De Gregori, De André, Battiato, Dalla ed anche dell’incanto dei grandi della letteratura che ci hanno folgorato con le loro idee come Dante!
La figurazione è un tema molto attuale, la gente è stufa delle macchie di colore o dell’astrattismo, ci hanno già pensato Picasso, Pollock, Burri, Fontana, Damien Hirst a stravolgere il tutto! A noi tocca ricominciare da loro, ma ciò non toglie che bisogna guardarsi indietro, come hanno fatto loro prima di noi.
Cosa stai preparando?
Lavoro a più progetti contemporaneamente. Fra questi una scultura d’arte pubblica di grandi dimensioni che vorrei adornasse un area verde di un comune. Poi c’è una tela con il tema della memoria, piccoli reperti in ferro ed una “Ultima cena” in tridimensionale, realizzata con 12 cappi in ferro forgiati da installare su parete. Ci lavorerò sviluppando l’idea della trasparenza dei rapporti umani, nel triangolo difficile fra l’uomo, il male e la fede.
Jacqueline Ceresoli